Nel 2015 più di 190 governi hanno sottoscritto l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile con cui si sono impegnati a lavorare insieme per la lotta alla povertà e alla fame, alle disuguaglianze, ai cambiamenti climatici. Negli ultimi anni, la pandemia COVID-19, la crisi climatica, e i conflitti bellici hanno reso ancor più evidente la fragilità dei nostri modelli di sviluppo e la necessità di attuare azioni congiunte, ma anche la difficoltà a metterle in atto in tempi brevi. L’avvicinarsi del 2030 mostra che siamo ben lontani dal raggiungimento degli obiettivi prefissati, richiedendo un’estensione temporale almeno al 2050.
Se da un lato i governi faticano a rendere operativi gli obiettivi prefissati, dall’altra parte una comunità diffusa di agricoltori urbani sperimenta da anni in giro per il mondo forme di resilienza alla crisi ambientale e sociale che stiamo vivendo, dando vita ad orti comunitari, giardini terapeutici, fattorie urbane. Un movimento noto come “agricoltura civica” (o civile), un’agricoltura cioè che con “la coltivazione di piante e l’allevamento di animali a fini alimentari persegue il bene comune” generando valori di relazione durevoli e continuativi. Una forma di agricoltura praticata per migliorare la vita civica e la qualità ambientale delle aree urbane, rispondendo alla necessità dei cittadini di ricostruire un rapporto con lo spazio aperto, agricolo e naturale. Praticata non solo per scopi alimentari, ma anche a scopo educativo, ricreativo, sociale, e per il benessere psicologico, può fornire importanti benefici ambientali (ad esempio la lotta al consumo e all’erosione del suolo, l’ abbassamento delle temperature, il mantenimento della biodiversità).